Giulia Brenna con “Nell’ombelico della Luna”.
“NELL’OMBELICO DELLA LUNA”
Forse il tempo non esiste. Forse il passato non è altro che il presente in continua evoluzione, un fluttuante echeggiare d’eventi assorbiti dall’ambiente circostante che, come in una metamorfosi, si trasformano come fossero materia liquida. Per il popolo maya il tempo era ciclico, quindi ripetibile nelle diverse ere, a differenza della nostra credenza, che lo immagina come una linea retta protratta all’infinito.
Quando visitai per la prima volta un sito archeologico maya, a Tulum in Messico, mi ritrovai di fronte ad un’atmosfera ancestrale e magica: mi immaginai un brulicare di ometti indaffarati a scrutare il cielo tra nubi di copale e scambi di miele e piume verdi di quetzal, perché Tulum, affacciata sui Caraibi, era punto strategico per il commercio tra i popoli. Aprii gli occhi e mi sentii osservata: pietre viventi abitano questi luoghi, incandescenti al sole, iguane marmoree mi fissavano solenni dall’alto delle rovine. Mi immaginai fossero dei dinosauri in miniatura, sopravvissuti nei secoli dopo la caduta del meteorite che, proprio nello Yucatán, dicono determinò la loro estinzione più di 65mila anni fa.
“Nell’ombelico della luna” è un’introspezione intima nella vita quotidiana della famiglia messicana, tra tradizioni folkloristiche e cultura preispanica, uno sguardo alla terra e alla natura la quale tutt’oggi trova un legame profondo con i messicani, eco di una cultura proveniente dai maya,dagli aztechi e dalle piccole popolazioni indigene sopravvissute al colonialismo e alla globalizzazione.